La crescita del potere economico dei Templari attira Filippo il Bello, re di Francia, che trama nell’ombra per spodestare l’Ordine e impadronirsi delle sue ricchezze
Di Diana Bacchiaz
Ci sono giunte testimonianze di donne che entrarono nel Tempio per condividere la vita spirituale, professando povertà, castità e obbedienza; per esempio, in Catalogna, una certa Adaladis di Subirats. Alla fine del secolo XII proprio in Catalogna era attiva una casa doppia, a Rourrel, dove nel 1198 i fratres e sorores obbedivano ad una donna, Ermengarda D’Oluja.
Tra la fine del secolo XIII e gli inizi del XIV compaiono alcuni monasteri femminili: è il caso di quello presente nella domus templare di S. Iacopo in Campo Corbolini a Firenze e dell’intero monastero delle moniales cistercensi di Muhlen, nella diocesi di Worms, che passarono in blocco ai Templari di cui professavano la regola. Le testimonianze di sorores templi provengono in genere da province occidentali. Esistevano inoltre delle benefattrici, cioè donne laiche esterne all’Ordine, che però partecipano della vita spirituale facendo donazioni o altre opere.
La vita conventuale era basata sulla prassi monastica del tempo. C’era un periodo di noviziato, quantunque la regola non ne specificasse la durata. Dopodiché la vita era quella di un vero e proprio cenobio, e si officiava l’ufficio divino anche se a recitare i Pater non erano in tanti, perché la maggior parte erano analfabeti.
Si poteva mangiare carne tre volte la settimana e vestirsi di lino, precauzione non da poco, considerando il clima orientale. Il lavoro manuale non era un compito per tutti i membri, ma solo come penitenza veniva svolto dai cavalieri e dai sergenti d’arme. La maggior parte di essi non si recò mai in Terra Santa e quei fratelli che combattevano in Oriente normalmente limitavano il servizio a brevi periodi.
Le loro attività ben presto divennero finanziarie. I Templari offrivano il servizio di custodia di denaro, gioielli, documenti ed altri beni, che tenevano al sicuro. In Francia parecchi nobili avevano presso i Templari conti correnti, in cui venivano regolarmente versati i loro redditi e di cui l’Ordine si serviva per effettuare pagamenti a favore dei propri clienti. Durante la maggior parte del secolo XII l’Ordine funse da tesoreria per i re Capetingi. I Templari organizzavano anche trasferimenti di denaro dei clienti da un luogo all’altro, e si rivelarono da subito importanti nel settore dei prestiti, emessi sovente a favore dei sovrani in Occidente; i re d’Aragona ad esempio si facevano anticipare le imposte. Il fatto che l’Ordine fosse sia militare che religioso lo rendeva un punto di riferimento idoneo per mettere al sicuro il denaro e gli oggetti preziosi, e la rete delle sue case in tutta la cristianità dell’Occidente facilitava i trasferimenti di moneta.
Le enormi ricchezze ed i privilegi dei Templari provocarono presto delle critiche e l’inizio di minacce e torture. L’Ordine era troppo ricco perché potesse ulteriormente espandersi, a rischio persino di aggregare in un unico impero monarchie e signorie. Tutte le civiltà giunte all’apogeo subiscono processi involutivi e autodistruttivi per un’occulta catarsi estranea al volere manifesto: Filippo il Bello e Clemente V furono solo gli strumenti di questo ingranaggio pianificatore.
La completa e complessa organizzazione templare comportava forse l’esistenza di un collegio di alchimisti, accanto a costruttori di templi e a forgiatori di metalli, vicino anche a studiosi di religione dediti a pratiche esoteriche. Qualcuno ha ipotizzato anche che i Templari conoscessero in anticipo quale sarebbe stato il destino del loro Ordine: possedendo immense ricchezze, organizzazione militare, una flotta, strade e centinaia di capitanerie in tutta Europa, sarebbe bastato poco per difendersi spada in pugno, con un allarme generale per mobilitare in pieno tutte le forze; né si può pensare che il finale prima drammatico e poi tragico si profilasse tanto fulmineo da configurare un attacco a sorpresa. Una possibile risposta è di tipo iniziatico: voler stare e rimanere al di sopra delle parti.
Filippo il Bello mirava da una parte alla monarchia assoluta, e dall’altro si mostrava sempre più avido delle immense ricchezze dell’Ordine. Chiese allora di entrare a far parte del Sovrano Ordine dei Cavalieri del Tempio. Jacques de Molay, Gran Maestro in carica, fiutò la manovra e la sventò riunendo il Capitolo ed appellandosi all’articolo dello Statuto che esclude i principi dall’Ordine. Il rifiuto era il casus belli che il Sovrano aspettava per scatenare il suo piano. I Templari ne avevano piena coscienza, ma non presero nessuna iniziativa per mettersi tempestivamente in salvo.
Verso la metà del 1307, abilmente fomentata da Filippo il Bello, in Francia si scatenò una pesante campagna denigratoria contro i Templari. Le insinuazioni e le accuse andavano dalla magia all’eresia, dalla sodomia alle speculazioni economiche al fine di destabilizzare la corona. L’opinione pubblica ne fu profondamente impressionata. A questo punto il re non esitò a erigersi a difensore pubblico della morale, della Chiesa e degli interessi politici del regno. Come prima cosa tolse immediatamente ai Templari la guardia del tesoro reale, affidato loro qualche anno prima, quando una sommossa popolare aveva rischiato di detronizzare il re. Da questo istante, biecamente strumentalizzata, la tensione contro i Cavalieri del Tempio venne portata al punto critico. Ma ancora una volta l’Ordine non fece niente per smascherare gli intrighi del re.
Il Re tramò quindi per organizzare una grande inchiesta in tutta Francia, ma anche in questa occasione i Cavalieri non sentirono la necessità di prendere alcuna posizione di difesa esplicita, senza ricorrere nemmeno al papa, l’unica autorità riconosciuta.
All’alba del 13 ottobre 1307, una vasta retata scatta per ordine del re. Vengono tratti in arresto il Gran Maestro Jacques de Molay e centoquaranta Templari residenti nel regno. I prigionieri non reagiscono, né si muovono le capitanerie di Spagna, Portogallo o d’altri parti d’Europa. Da questo momento incomincia tra Clemente V e Filippo di Francia un tragico balletto di responsabilità.
I Templari in prigione intanto vengono inquisiti e torturati senza pietà. Alcuni di loro sono molto avanti negli anni, ma non se ne tiene conto. E con la violenza e la tortura si riesce ad estorcere ai prigionieri tutto quello che si vuole. Esulta Filippo e pubblicizza a gran voce quella sua prima squallida vittoria: «Gli eretici hanno confessato!».
Ma improvvisamente qualcosa si muove. I Templari chiedono di essere ascoltati e pubblicamente ritrattano le confessioni mostrando a tutti le piaghe lasciate dai ferri sulla loro carne.
L’inaspettato colpo di scena sconvolge l’opinione pubblica. La giustizia reale sta per uscirne malconcia, quando l’arcivescovo di Marigny, di nome Nogaret, uomo del re e ai vertici della commissione di Stato, accusa i Templari di gravissimo oltraggio e li condanna a morte sul rogo.
E la commissione papale di Clemente V che si era impegnata a difendere l’Ordine? Dopo essersi imposta per puntiglio giuridico alla commissione del re, dichiara esaurito il suo compito e propone che a condizione di non torturare più i prigionieri si proceda allo scioglimento della milizia del Tempio, alla confisca del suo immenso patrimonio e alla cattura dei Templari ancora in libertà. Il gioco era fatto.
Qualche giorno prima di essere portato al rogo, il Gran Maestro dell’Ordine Jacques de Molay conferma che vuoterà il sacco sulle vere ragioni di quell’infamia che coinvolge corona e papato, quand’ecco verificarsi un altro episodio mai spiegato sinora: una notte un misterioso personaggio scende nella cella del condannato e si racconta che i due parlarono a lungo e che avvennero proteste, esortazioni, recriminazioni, promesse, richiami. Dopo quel colloquio rimasto avvolto nel mistero Jacques de Molay interruppe definitivamente la sua difesa e quella dell’Ordine e tacque.
Il 18 marzo 1314, assieme al precettore di Normandia, al Visitatore di Francia e al Commendatore d’Aquitania, Jacques de Molay affronta il rogo; prima di spirare egli lancia il suo terribile anatema che puntualmente colpirà Clemente V, Filippo il Bello e Nogaret. Morirono a breve distanza anche i figli del re e di lì a poco la Francia venne travolta tra ferro e fuoco dalla guerra dei Cent’anni.
I superstiti si rifugiarono in Scozia, portandosi il loro segreto, segreto che invano Clemente V aveva tentato di strappare loro con ogni mezzo. La tradizione vuole che dallo stabilirsi dei superstiti in Scozia sia nato il Rito scozzese antico e accettato.
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