A dodici anni dalla morte del grande maestro, l’artista l’ha ricordato il 22 marzo con un grande concerto. “La canzone è un frammento di vita che nell’immaginario può diventare molto”
Di Leo Cotugno
Dopo un solo anno, nuovamente a Genova, il 22 marzo, un concerto epocale nella storia artistica del connubio tra Renzo Arbore e l’Orchestra Italiana, iniziato nel lontano 1991.
Il grande artista foggiano, reduce dagli autentici bagni di folla già ottenuti al Teatro Nazionale Barclays di Milano e del Vittorio Alfieri di Torino, ha fatto tappa al Teatro Carlo Felice, in data unica, per un omaggio sentito a Roberto Murolo, uno dei più grandi interpreti della canzone d’autore partenopea, scomparso esattamente dodici anni or sono. È stata un’occasione importante per il pubblico genovese per celebrare i 24 anni di successi dell’Orchestra Italiana, iniziati nel 1992 con “Pecchè nun ce ne jammo in America”.
Parlare di Roberto Murolo sarebbe quasi riduttivo nella storia di Napoli. «Con la sua coppola da chansonnier ed i suoi modi accattivanti, Murolo ha parlato cantando il dialetto napoletano con il fine preciso di sforzarsi di renderlo comprensibile al resto d’Italia e questa è stata una chiave del successo in campo nazionale.
Curiosamente, però, a Napoli questo sforzo è diventato un limite, il popolo quasi ha colto distanze in questo suo aprirsi: Murolo sarà generalmente apprezzato come “uno buono” e non come “uno di noi”».
La chitarra, il mandolino, un messaggio interculturale: il Roberto Murolo amico fraterno, oltre che artistico, di Arbore, è ricordato con pochi ma profondi momenti. «Aveva dieci chitarre, ne usava una sola, colorata dagli anni e costruita su misura delle sue mani dal liutaio romano Palalupis» spiega Arbore «e ciò che più stupiva è che ogni volta il maestro la provava a lungo, quasi fosse un vestito».
Indimenticabile la sua “Reginella“, motivo con cui Renzo Arbore ha aperto la scaletta delle canzoni (30 in tutto più i bis) e che diede la gloria (parola esagerata a giudizio arboriano) a Murolo. «La canzone è un frammento di vita, scriveva il critico Enzo Giannelli, che può diventare molto significativo nell’immaginario collettivo se la sua dimensione si dilata nel tempo sino ad assumere i connotati di un’epoca. Motivi come Reginella, Scalinatella, O’ ciucciariello, hanno risvegliato i sentimenti della canzone napoletana dopo decenni di pigrizia».
d un concerto di Renzo Arbore parola d’ordine è entusiasmo, con una scaletta, quella suonata al Carlo Felice, che ha coniugato «nuovo ed antico suono di Napoli, voci e cori appassionati, una vera e propria girandola di assoli strumentali, un’altalena di emozioni sprigionate dalla melodia della musica napoletana che evocano albe e tramonti, feste al sole e serenate notturne, gioia e pene d’amore».
Dal Canada a Rio de Janerro, passando per il Covent Garden di Londra ed il Madison Square Garden di New York, Renzo Arbore continua a mietere successi l’uno dopo l’altro. «Ho voluto riproporre al pubblico la formula dei duetti con grandi artisti internazionali, ricalcando il “Pavarotti and Friends” che ha spopolato ovunque. Una formula capace di scatenare il pubblico e che è stata anche ingrediente base del mio ultimo lavoro, “E pensare che dovevo fare il dentista, Renzo Arbore & Friends”. Dopo l’uscita di “My American Way” nello scorso anno, un disco nel quale reinterpretiamo alcuni successi tutti italiani in chiave “americana”, si muove verso un progetto che porterà in tutto il pianeta (previste tre date in Cina, ndr) i protagonisti di eccezionali duetti ed interpretazioni genuine delle canzoni napoletane”.
Il concerto di Renzo Arbore ha avuto due parti ben distinte l’una dall’altra: nella prima, oltre all’omaggio a Murolo, anche una succosa parentesi tutta latino-americana, illuminata da grandi successi della musica brasiliana di Vinicius De Moraes e Toquinho. Nella seconda invece, spazio a Renato Carosone e al gran finale con le canzoni legate ai trionfi televisivi di “Quelli della notte” ed “Indietro tutta“.
A rianimare gli indimenticabili “Cacao Meravigliao”, “La vita è tutta un quiz” e “Il materasso”, possiamo scorgere i nomi dei quindici musicisti che compongono l’Orchestra Italiana, divenuta celeberrima con il talento del grandissimo Gegè Telesforo. “Gianni Conte al canto, affiancato dalla seducente voce di Barbara Bonaiuto e dal controcanto ironico di Mariano Caiano. Per i virtusismi ritmici chiedere di Giovanni Imparato, mentre la direzione orchestrale è affidata a Mariano Volpe, al pianoforte. Chitarre classiche e jazz, sono in tre, iniziando da Michele Montefusco, vicino al quale giostrano Paolo Termini e Luca Cantatore.
Il quadro è completato da Peppe Sannino alle percussioni, Roberto Ciscognetti alla batteria, Massimo Cecchetti al basso, Nunzio Rena e Salvatore Esposito ai mandolini e mandole, Gianluca Pica alle tastiere e fisarmonica“.
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